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Non c’è ripresa senza equità

A cura di onData e Think Tank Period, con il contributo di Valentina Bazzarin, Paola Chiara Masuzzo, Guido Romeo e Giulia Sudano


Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) - la proposta italiana per la gestione dei fondi di Next Generation EU - si propone, accanto alle missioni di digitalizzazione, transizione ecologica, istruzione, mobilità, e salute, anche quella di “coesione e inclusione”. Si propone, cioè, di destinare parte dei fondi alla riduzione delle disuguaglianze di genere, di territorio, e di generazione, attraverso lo sviluppo di infrastrutture sociali e la progettazione di politiche pubbliche.

Insomma, non c’è Next Generation senza le donne, il meridione, e i giovani.

Iniziamo dalle donne.

Il PNRR sottolinea tra le necessità strategiche del paese quella di mitigare l'impatto economico e sociale della pandemia, in particolare sulle donne (art. 4, co.1 del Regolamento RRF) e di dettagliare le modalità attraverso cui le misure del Piano contribuiscono alla parità di genere/pari opportunità per tutti e al mainstreaming di tali obiettivi, in linea con i Principi 2 e 3 del Pilastro europeo dei diritti sociali, l'Obiettivo 5 di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e la strategia della Commissione Europea su gender equality per il periodo 2020-2025.

Il PNRR formalmente si preoccupa di rispondere ai requisiti del gender mainstreamingℹ️, ma al di là della dichiarazione di principio come quella del titolo di questo paragrafo "Non c'è ripresa senza equità", non traduce questo principio in obiettivi chiari e fatica a proporre indicatori e dati utili a verificare l'efficacia delle politiche messe in campo e delle risorse impiegate. Questa lacuna rischia di risultare un freno per gli stessi scopi di rilancio dell’economia che il PNRR si prefigge poiché è storicamente documentato che una maggiore presenza delle donne nel mercato del lavoro rende più competitive le economie nazionali1.

Per farlo è necessario partire dall’analisi di dati disaggregati per genere e liberi da stereotipi, accessibili in formato aperto, interoperabili e disponibili a tutti i livelli territoriali, da quello nazionale a quello comunale.

Senza questi dati non è possibile monitorare l’impatto di genere delle politiche pubbliche. L’utilizzo di strumenti equi di valutazione e controllo delle politiche pubbliche non può essere rinviato in considerazione del fatto che nel PNRR gli interventi mirati alle donne rappresentano solo l’1,6 per cento del totale (3,1 miliardi di Euro circa), e si concentrano nelle missioni 4 e 5 (4. Istruzione e ricerca, 5. Inclusione e coesione); il 18,5 per cento (35,4 miliardi di Euro) riguarda misure che potrebbero avere riflessi positivi, anche indiretti, nella riduzione dei divari a sfavore delle donne; mentre, per la parte restante degli interventi del PNRR (77,9 per cento, pari a 153 miliardi di Euro), la possibilità di incidere per ridurre divari di genere esistenti dipende in larga misura dai dettagli dell’attuazione.

I dati che non vorremmo più dover commentare

La Commissione Europea definisce il gender pay gap, o divario retributivo di genere, come "la differenza tra la paga di un uomo e di una donna, basata sulla differenza media di retribuzione oraria lorda di tutte le persone che lavorano". Il Global Gender Gap Report 2021 del Forum Economico Mondiale riporta un gap per l’Italia del 12% (che sale al 30.6% nel caso delle laureate), percentuale che ci colloca tra i peggiori Paesi dell’Unione Europea. Per l’Eurostat, invece, l’Italia ha uno dei divari più bassi dell’Unione, 4.7%. L’International Labour Organisation, ancora, stima che le cifre presentate attraverso il gender pay gap siano una sottostima del fenomeno, e introduce il factor weighted gender pay gap, che tiene conto non solo della retribuzione lorda media, ma anche di fattori importanti come educazione, età, tipologia di contratto, settore professionale.

Se si guarda, ad esempio, alle posizioni manageriali, non solo si trovano sempre meno donne (in Italia, una sola direttrice responsabile di un quotidiano nazionale, 7 rettrici su 84 atenei, 2 donne direttrici su 12 telegiornali nazionali), ma il divario retributivo si allarga prepotentemente.

Questo è un fenomeno conosciuto come glass ceiling, il soffitto di vetro che impedisce alle donne di avanzare professionalmente. Ma per capire le profonde disuguaglianze di genere che affliggono l’Europa tutta e il nostro Paese in particolare, e che vanno oltre alla dimensione della retribuzione, toccando estese opportunità di vita, guardare il soffitto non è abbastanza. Bisogna guardare tutta la casa, partendo dal piano più basso.

Per questo si parla anche di sticky floor, un pavimento appiccicoso che blocca le donne, imprigionandole in spazi ristretti, ed escludendole dalla piena partecipazione alla politica e alla produzione economica. E così l’11% delle donne lascia il proprio lavoro dopo il primo figlio/la prima figlia, il 17% dopo il secondo e il 19% dopo il terzo.

E sempre da Ipsos, attraverso un’indagine condotta per WeWorld Onlus, arriva una fotografia della condizione economica (e non solo) delle donne, nella quale alle criticità di sempre si sommano gli effetti della pandemia COVID. A causa della pandemia, il 50% delle donne ha guadagnato di meno; più del 40% dipende dalla famiglia o dal partner in misura maggiore rispetto al passato; il 28% delle donne madri non occupate rinuncia a cercare lavoro; ancora, il 40% delle donne si fa carico delle persone non autonome.

Come se tutto questo non fosse abbastanza, i dati del bilancio di genere 2021 (relativo all’esercizio 2020) presentati dalla Sottosegretaria al Ministero dell’economia e delle finanze Maria Cecilia Guerra sono, senza mezzi termini, drammatici. Diminuisce il tasso di occupazione femminile al 49% e cresce il divario con il tasso di occupazione maschile, arrivando a 18,2 punti percentuali. Aumenta invece la quota di giovani donne Neet, cioè che non studiano e non lavorano, passando dal 27,9% del 2019 al 29,3% nella fascia di età 15-34 anni, contro una media europea del 18%. In crescita anche la percentuale di lavoratrici costrette ad accettare il part-time: 61,2% rispetto alla media Ue del 21,6%. Le più svantaggiate di tutte sul lavoro sono le donne con figli in età prescolare, che hanno un tasso di occupazione di circa 20 punti inferiore a quello delle donne senza figli. Rispetto ai congedi parentali ne hanno usufruito solo il 22% degli uomini.

I dati che vorrei

Se, come abbiamo visto, la situazione italiana (ma non solo) è tutt’altro che rosea, il tema della trasparenza e, conseguentemente, della disponibilità di dati sul divario di genere è però entrato da alcuni anni nell’agenda politica internazionale.

Ad esempio, in ambito di Open Government Partnership (OGP)ℹ️ un numero crescente di Stati Membri ha adottato negli ultimi anni degli specifici impegni di genere e inclusione nei loro piani d'azione. Nel Piano d'azione 2019 del Messico, l'Istituto nazionale per le donne si è impegnato a collaborare con il Simone de Beauvoir Leadership Institute per co-progettare una nuova politica nazionale sui servizi di assistenza pubblica attraverso un programma pilota. L 'aspetto interessante è che l’efficacia di questo programma pilota sarà monitorata dai cittadini, a cui viene chiesto anche di proporre idee e commenti in modo da ridurre il divario di genere e nei servizi di cura e assistenza a livello nazionale.

Anche l’Italia, seppur timidamente, si sta muovendo nella direzione auspicata da OGP. Ne è un esempio il convegno nazionale “Dati per contare. Statistiche e indicatori di genere per un PNRR equo”, co-organizzato dall’associazione Period Think Tank e dalla Regione Emilia Romagna il 30 novembre 2021, durante il quale sono state individuate e condivise alcune proposte generali e specifiche sulla disponibilità di dati di genere fra rappresentanti di istituzioni locali, del mondo economico, di enti del terzo settore, dei servizi sanitari e della PA, e delle università.

Proposte che riportiamo di seguito e che costituiscono il punto di partenza ideale per poter cominciare a parlare seriamente di misurazione di impatto di genere.

Proposte generali

  • Garantire una maggiore e più efficiente interoperabilità delle banche dati, prodotte ancora oggi secondo una logica “silos”, sia in senso verticale (consentendo matching tra livelli superiori e inferiori di dettaglio e di territorio), sia in senso orizzontale (con altre banche dati).

  • Centralizzare i dati disponibili su temi specifici prodotti da fonti amministrative diverse. Tale integrazione dovrebbe avvenire a livello centrale, condotta e supervisionata da ISTAT per mandato istituzionale e copertura nazionale. Ciò permetterebbe di uniformare i tentativi di integrazione delle fonti che vengono fatti a livello locale da alcuni comuni, consentendo a esperienze avanzate portate avanti da singole realtà locali di essere replicate, anche su larga scala.

  • Rafforzare il ruolo di ISTAT nel coordinamento e la supervisione a livello centrale delle attività di integrazione dei dati di registro da fonti diverse e/o di un ampliamento dei campioni delle indagini (es. indagine sulle Forze di Lavoro - FDL di ISTAT) per raggiungere la rappresentatività statistica a livello comunale.

  • Garantire la comparabilità dei dati sul territorio e nel tempo per consentire una valutazione di impatto di genere sostenibile.

  • Sganciare la concettualizzazione del genere (femminile) dal ruolo e la funzione sociale svolti (generalmente, quello di cura o di appartenenza come membro di una famiglia).

  • Abbandonare o limitare l’uso dell’unità di analisi famiglia, per le valutazioni ex ante ed ex post di politiche pubbliche. Per quanto possibile, si raccomanda di raccogliere dati basati sull’individuo, su cui poi costruire indicatori disaggregati per genere.

  • Investire risorse dedicate

    • per il mantenimento di un sistema di gestione dei dati interno alle amministrazioni locali, volto a rafforzare gli uffici e i servizi di statistica sul territorio, che devono:

      • essere presenti e operativi in tutti gli enti locali;

      • avere risorse umane e tecniche adeguate;

      • avere risorse umane e tecniche adeguate per realizzare indagini ad hoc per la raccolta di dati di specifico interesse, se e quando necessario.

    • per le competenze specifiche interne alla PA, soprattutto in termini di data literacy del personale della PA locale.

    • per far dialogare la PA con i dati prodotti dal terzo settore e dal settore privato sociale nella fornitura di servizi sul territorio.

  • Creare un canale dedicato agli uffici di statistica delle amministrazioni locali per ottenere dati integrati da varie fonti, sotto il controllo nell’utilizzo da parte del Garante per la Privacy.

Proposte specifiche

Avere la disponibilità di dati che permettano di usare i seguenti indicatori:

  • Occupazione femminile in particolare nei settori di interesse del PNRR a bassa partecipazione femminile (come ed esempio il digitale e la green economy);

  • Qualità del lavoro;

  • Numero di imprese certificate e iscritte all’Albo delle imprese presso il Dipartimento Pari Opportunità.

  • Partecipazione al mercato del lavoro e occupazione per genere, disponibili a livello nazionale e regionale a partire dall’indagine sulle Forze di Lavoro (FDL) ISTAT, forniti/stimati anche per il livello comunale;

  • Dichiarazioni sul reddito per genere resi disponibili a livello comunale in formato utilizzabile per ulteriori elaborazione (fonte MEF);

  • Dichiarazioni ISEE su reddito e patrimonio esistente per genere;

  • Utenti e percettori/percettrici di politiche attive e formative per genere (fonte livello regionale);

  • Disponibilità di servizi integrativi a quelli educativi per l’infanzia (centri estivi e attività pomeridiane disponibili) e per servizi dedicati alle persone con disabilità e alle persone anziane;

  • Utilizzo dei congedi parentali obbligatori e facoltativi per genere;

  • Intensità del carico di lavoro, funzioni svolte e livelli di benessere delle e dei caregiver non professionali – le persone, soprattutto donne, che escono dal mercato del lavoro per occuparsi della cura di persone con disabilità o anziane;

  • Uso di forme di lavoro agili (smart working, telelavoro etc.) per genere, età, nazionalità, livello di istruzione, composizione familiare, etc.;

  • Ricezione e utilizzo di incentivi e finanziamenti pubblici per genere della titolarità;

  • Longevità e sopravvivenza delle imprese nel tempo per genere della titolarità;

  • Domanda e capacità di assorbimento delle imprese di laureate in area STEM;

  • Numero delle scuole, dal nido alle superiori, che fanno corsi di educazione alle differenze;

  • indicatori che mettano in relazione la variazione di genere nei diversi percorsi formativi e le variazioni nei corrispondenti sbocchi professionali;

  • Persone in attesa di case popolari per genere;

  • Persone in social housing per genere;

  • Numero di nuclei monoparentali o famiglie a più nuclei con una donna capofamiglia;

  • Metri quadri di verde urbano in rapporto alla composizione per genere della popolazione residente;

  • Mappatura di servizi di welfare di prossimità disponibili a livello locale per numero di utenti in rapporto alla composizione per genere e per età della popolazione residente.

Proposte sul gender procurement

Per gender procurementℹ️ si intende l’introduzione dei requisiti della parità di genere negli appalti pubblici, per utilizzare questi ultimi come uno strumento di promozione della parità di genere. Come specifica la stessa Commissione Europea “si tratta non soltanto di garantire che tutti i cittadini, indipendentemente dal genere, possano ricevere servizi uguali, ma anche di aumentare l'efficienza e la qualità dei servizi perché, se l'integrazione della prospettiva di genere diventa un requisito, i fornitori di servizi saranno incoraggiati a sviluppare e offrire servizi coerenti con gli obiettivi della parità di genere”.

In merito a questo principio, inserito nei bandi di gara finanziati dal PNRR e dal Fondo complementare (decreto-legge 77 del 2021) e finalizzato a selezionare imprese che utilizzino specifici strumenti di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro e che mostrino un buon equilibrio di genere nei livelli retributivi e tra gli apicali, è necessario che vengano pubblicati i dati in formato aperto e riutilizzabili sui bandi del PNRR, così da permettere forme di monitoraggio e di controllo dell’applicazione delle clausole di condizionalità e premialità;

Oltre alla pubblicazione dei dati, si raccomanda inoltre di:

  • Aggiungere premialità per favorire le pari opportunità;

  • Mettere in consultazione le linee guida e vaglio dei soggetti interessati prima dell’ approvazione;

  • Lavorare sul Regolamento dei contratti a livello locale, attraverso la definizione di linee guida per l’acquisizione dei contratti;

  • Rendere tali linee guida chiare e trasparenti, per rimuovere gli ostacoli alla partecipazione e di semplice applicazione;

  • Attenzionare il settore della sanità dove numerosi sono gli appalti, tra privati, pubblico e privato, pubblico-pubblico per l’acquisizione di servizi, e dove le clausole di premialità e condizionalità potrebbero integrare criteri e parametri legati anche alla medicina di genere;

  • Coinvolgere la cittadinanza nella “sorveglianza” sulle imprese e sul loro sistema valoriale.

  • Rendere premiale la trasparenza dei dati da parte delle imprese. Il MEPA può diventare un'importante fonte di dati e informazioni sulle imprese impegnate per una maggiore equità di genere.

Conclusioni

La raccolta e l’analisi di dati disaggregati per genere e liberi da stereotipi, disponibili in formato aperto, interoperabili e disponibili a tutti i livelli territoriali, da quello nazionale a quello comunale, dovrebbe essere la base per poter costruire qualsiasi programmazione e azione politica realmente efficace per le diverse esigenze presenti nelle società a seconda del genere, dell’età, della classe, della provenienza, delle diverse abilità etc.

L’arrivo degli ingenti fondi del PNRR rappresenta un momento cruciale per rendere finalmente questi dati uno strumento ordinario e imprescindibile per la costruzione di qualsiasi tipo di politica pubblica in una congiuntura determinante per lo sviluppo strategico del paese almeno per i prossimi 20 anni.

Non disporre oggi di tutti i dati disaggregati per genere dal livello nazionale a quello locale, necessari a comprendere a pieno tutte le diseguaglianze di genere esistenti, è una questione politica molto seria che dovrebbe allarmare tutta la società.

Per questo motivo riteniamo essenziale una mobilitazione di tutti i soggetti che a diverso titolo si occupano del contrasto alle disuguaglianze di genere, per richiedere alle istituzioni (dal governo fino ai comuni) gli investimenti necessari per produrre statistiche di genere a tutti i livelli amministrativi disponibili in formato aperto e interoperabili.

💡 Tutto ciò che non misuriamo rimane invisibile, è una scelta politica che non possiamo più permettere.

Vorrei che fossero così Scarica



  1. Bateman, V. N. The Sex Factor: How Women Made the West Rich, (2019) - Polity Press